Wednesday 3 December 2008

Al bando le partecipazioni occulte

Nella dura battaglia che Porsche conduce da tempo per la conquista di Volkswagen si è di nuovo visto l’occultamento di partecipazione rilevanti tramite l’uso di derivati su azioni.

In questo caso, più che in altre occasioni, l’utilizzo di tali strumenti ha sollevato roventi polemiche. Ciò per la semplice ragione che si è verificata una distorsione del prezzo delle azioni di VW davvero sorprendente: in soli due giorni il prezzo è cresciuto di oltre il 300%.

La causa scatenante di tale improvviso rialzo è stata la drammatica riduzione del flottante di VW, che ha spinto coloro che avevano chiesto in prestito azioni VW, sperando in un loro ribasso (la settimana precedente avevano perso il 50%), a riacquistarle a un prezzo di gran lunga superiore a quello per cui le avevano vendute in precedenza, riportando in tal modo, in due giorni, perdite stimate tra i 3 e i 20 miliardi di Euro. Si è così ripresentato sul mercato azionario, dopo decenni (l’ultimo era avvenuto nel 1923), un market corner ([1]).

Per determinare tale effetto distorsivo è bastato che Porsche comunicasse al pubblico di aver in portafoglio derivati su azioni (cash settled options) per circa il 31% di azioni Volkswagen. L’incertezza che regna sovrana rispetto a tali derivati su azioni ha fatto il resto e il primo giorno di mercato aperto successivo all’annuncio si è verificato il market corner.

I market corner per la cronaca hanno avuto il loro momento di gloria tra la fine del XIX secolo e gli anni venti del secolo scorso, per poi scomparire dal mercato azionario ([2]). Una delle innovazioni regolamentari che ha portato alla loro estinzione è stata la riduzione dell’opacità del flottante. All’epoca del fiorire dei market corner, non vi era pressoché alcuna informazione sulle partecipazioni rilevanti, era così facile cadere in errore circa la misura del flottante e credere che questo fosse maggiore rispetto alla realtà.

Da allora la situazione regolamentare è profondamente mutata. Nel tempo sono stati introdotti stringenti obblighi di trasparenza circa le partecipazioni rilevanti e il flottante.

Nonostante ciò, permangono degli angoli da illuminare e tra questi vi sono alcuni derivati azionari, che offrono la possibilità di occultare rilevanti posizioni potenziali. Tali strumenti sono stati utilizzati di recente, oltreché da Porsche, anche in altre discusse operazioni. Ricordiamo, nell’ordine, in Nuova Zelanda la vicenda Perry-Rubicon che ha dato luogo a un fenomeno di empty voting (2003) in Italia il caso Ifil/Exor in cui l’obbiettivo era mantenere il controllo di FIAT (2005), in Germania il takeover di Schaeffler su Continental (2008) e l’attacco a Deutsche Börse da parte di alcuni hedge funds (2005) e negli Stati Uniti la proxy fight tra CSX e sempre alcuni hedge funds (2008) ([3]).

A seguito della vicenda Porsche – Volkswagen è però oramai chiaro che non più essere ulteriormente rimandato un intervento regolamentare al fine di ridurre le asimmetrie informative, di assicurare la regolare formazione dei prezzi, di agevolare il mercato del controllo societario e in conseguenza di rafforzare la fiducia nei mercati (nonché, come dimostrato nel market corner di VW, di evitare gravi distorsioni del mercato).

La materia è attualmente oggetto di riforma in Italia nell’ambito del recepimento della Direttiva Transparency, la quale, tuttavia, fa obbligo di comunicazione unicamente rispetto ai derivati con consegna fisica dei titoli (cd. physical settlement), così come prevedono le disposizioni attualmente in vigore nel nostro Paese.

La Consob, nel documento di consultazione pubblicato di recente, mette correttamente in luce le problematiche relative a tali strumenti, ma pare riservarsi di intervenire in un secondo momento con una consultazione ad hoc.

È invece auspicabile che l’Autorità di controllo intervenga senza ulteriori esitazioni dettando un quadro regolamentare che guardi alla sostanza più che alla forma, così come sta facendo in questi giorni la FSA nel Regno Unito, che ha deciso di estendere gli obblighi di disclosure ai derivati che prevedono un reale e diretto interesse nelle azioni sottostanti (“similar economic effect to a qualifying financial instrument”), ove per reale e diretto interesse si intende l’esercizio del diritto di voto, l’acquisto delle azioni sottostanti o entrambi.

Nella speranza che tali interventi su base domestica possano anche spronare il legislatore comunitario a intervenire senza indugio per ridurre quanto più possibile la possibilità di occultare partecipazioni rilevanti, che, come abbiamo visto, possono avere anche gravi effetti distorsivi sui mercati finanziari.


([1]) ALLEN, LITOV e JIANPING, Large Investors, Price Manipulation, and Limits to Arbitrage: An Anatomy of of Marker Corners, http://ssrn.com/abstract=604302

([2]) Alcuni market corner recenti riguardano bond governativi (Citigroup/ Eurozone bonds nel 2004; Salomon Brothers/two-year U.S. Treasury notes nel 1991) e commodities (rame nel 1996; argento nel 1980).

([3]) In quest’ultimo caso, la vicenda è approdata innanzi alla District Court for the Southern District of New York, la quale ha ritenuto gli hedge funds inadempimenti rispetto agli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti.

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